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La vera storia della Cassata Siciliana

cassata sicilianaMolti credono che la cassata siciliana sia di origine araba, associandone la nascita all’introduzione dello zucchero di canna da parte degli Arabi durante la loro dominazione.
Una leggenda narra che nell’850 dopo Cristo un pasticciere saraceno mescolò, in un recipiente semisferico di rame (il qasàt), della ricotta di pecora con lo zucchero di canna. Il risultato fu sorprendente e, non sapendo che nome darle, la chiamò “qasàt”: da lì Cassata.
Una bella storiella. Peccato non sia vera.
Già nella Grecia Antica e nella Magna Grecia veniva preparato un dolce di cacio addolcito con il miele, che, nel tardo latino prese il nome di “CASEATUS” o “CASEATA”. Infatti, è sul Declarus, il primo vocabolario siciliano latino scritto da Angelo Sinesio, primo abbate di San Martino delle Scale vissuto dal 1305 al 1386, che si trova la prima definizione di cassata: “Cibus ex pasta pani set caseus compositus”. Si trattava però di una cassata al forno.
Fu solo nel 1700 che la forma del dolce assunse un aspetto simile a quello attuale, e fu alla fine del 1800, l’epoca dei Florio, che arrivò la famosa decorazione di frutti canditi.
Un pasticciere palermitano, tale Cavaliere Salvatore Gulì, che si fregiava del titolo di “Confetturiere di Casa Reale”, sostituì la pasta frolla con il pandispagna, suggellando così il passaggio dalla cassata al forno alla “cassata alla siciliana”.
Anche l’abbellimento barocco si deve alla “Pasticceria dei Fratelli Gulì” di Corso Vittorio Emanuele 101/107 che, nel 1887, era specializzata in frutta candita. Complice un magazzino di canditi invenduti, pensarono di metterli sopra la cassata al forno, ma questa, sotto il peso dei canditi, tendeva a schiacciarsi. Un giorno, mentre Salvatore fumava il suo sigaro sulla porta secondaria che dava in via dei Bottai, vide delle botti smontate e notò le loro doghe. Fu così che ebbe l’idea di creare delle piccole doghe in pasta di mandorla che disposte a cerchio, attorno alla cassata, la cingessero in modo tale da non farla collassare più sotto il peso dei canditi.
Per renderla ancora più bella la decorarono con la glassa.

Da “ai fornelli con Benedetta”

 
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Pubblicato da su 03/02/2020 in Uncategorized

 

U luttu in Sicilia

https://www.siciliafan.it/storie-e-vecchie-usanze-di-sicilia-u-luttu-di-angela-marino/

 
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Pubblicato da su 24/09/2019 in Uncategorized

 

In Sicilia esiste una sorgente di olio minerale che cura le patologie della pelle.

http://www.custonaciweb.it/in-sicilia-esiste-una-sorgente-di-olio-minerale-che-cura-le-patologie-della-pelle/

 
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Pubblicato da su 11/09/2019 in Uncategorized

 

Le isole di Trapani antica

 lo storiografo  Padre Benigno da Santa Caterina, agostiniano scalzo,  nella sua opera manoscritta su Trapani del 1810, descrive i vari scogli ed isolette intorno al porto.

Inizia dal Ronciglio detta anche isola di Santa Margherita che dista 100 passi dalla spiaggia. L’isola  apparteneva al Duca di Castelmonte, don Francesco Saura, che l’aveva trasformata in salina.

Poi indica a ponente del porto l’isola di Sant’Antonio ovvero il Lazzaretto che serviva per trascorrere il periodo di contumacia alle navi sospette. 

Continua con la descrizione dell’isola della Colombaia, detta anche Peliade, e si sofferma sulla formazione geologica dell’Isola della Savorra (Zavorra), creatasi con i detriti ed i rifiuti gettati in mare dalle navi che arrivavano in porto. In essa Don Giuseppe Gianquinto nell’anno 1806 costruì una Salina con annessi magazzini e casina. 

Infine il Padre Benigno dà notizie dell’Isola della Calcara, sulla quale è una torre ed una chiesa dedicata a Santo Alessio, e perciò l’isola veniva anche detta di Sant’Alessio.

(Di Giuseppe Siciliano)
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Pubblicato da su 19/11/2018 in Uncategorized

 

Una novella che parla della società di Trapani medievale. 05_07 – Boccaccio – Decameron – quinta giornata – settima novella

http://www.classicidecameron trapanitaliani.it/decamero/05_07.htm

 
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Pubblicato da su 07/01/2018 in Uncategorized

 

La più grande rivoluzione pubblicitaria

condivisione onlineDei turisti seduti in una panchina, dopo una giornata di visite al territorio condividono foto e filmati in rete per raccontare le loro esperienze contattando tante persone quanto ne descrive il Numero di Dunbar.

Numero di Dunbar: è il numero che spiega che gli esseri umani sono in grado di mantenere in media 150 relazioni sociali stabili.

Nei dati Enit (2015 e comunque oggi in crescita) in Italia sono venuti non meno di 192.607.930 turisti che con i loro filmati e foto pubblicate online hanno condiviso le bellezze del nostro territorio con un numero stratosferici di contatti (192.607.930 x 150).

Cosa è successo?

C’è stata la più grande rivoluzione  pubblicitaria : questa estate (2017) è cambiato il modo di fare promozione turistica grazie all’abolizione delle spese di roaming in Europa.

Questa è una immensa novità promozionale che va oltre la mera brochure od il semplice sito dell’azienda locale: viene fotografato e condiviso in rete il monumento, il paesaggio, la gente, i piatti dei ristoranti, gli artisti di strada, le rappresentazioni paesane, gli scorci, la flora e la fauna…

Tutto è messo a nudo sia nel bene che nel male ed infatti è sempre più frequente la foto al cassonetto dei rifiuti stracolmo accanto ad un monumento o al restauro abbandonato di un palazzo fatiscente. E siccome ogni foto pubblicata è geolocalizzata, la condivisione  delle esperienze diventerà sempre più la strada per informare il turista.

Una foto di un tavolino, ricco di prodotti gastronomici locali posto in un panorama splendido, è più attraente di pagine di testo che raccontano storie antiche che quasi nessuno ha il tempo di leggere. L’utilizzo di smartphone e tablet ha cambiato la velocità di ricerca delle informazioni e non c’è meglio di una foto o di un filmato per rendersi conto immediatamente del valore del luogo.

Riusciranno le amministrazioni locali a capire tutto ciò facendo in modo che sia primario il decoro delle città? Riuscirà il governo a dare le priorità turistiche adeguate al mondo di oggi?

Una evoluzione così veloce va sicuramente fuori dai canoni tradizionali fatti di burocrazia che ancora privilegia organi ormai obsoleti. Ancora oggi si investe per tabelloni, grafiche negli stands o aeroporti, siti e portali web quasi sempre poco affini alle realtà locali e che nascondono tutte le inefficienze che, raccontate dagli stessi turisti, diventano un ostacolo alla loro fruizione.

Se dovete comprare qualcosa al mercato chiedereste al venditore la qualità dei suoi prodotti o vi informereste con chi li ha già utilizzati precedentemente?

Sergio Ciulla

 
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Pubblicato da su 28/09/2017 in Uncategorized

 

Il Risotto allo zafferano nasce in Sicilia

Il risotto allo zafferano o meglio conosciuto come “alla milanese” è da sempre considerato il simbolo della cucina lombarda e della sua tradizione gastronomica. Numerose sono le leggende legate alle sue origini ma pochi sanno che in realtà questo piatto è nato al sud e precisamente in Sicilia.

Una leggenda vuole il risotto meneghino tipico della cucina kosher medievale ed esportato a Milano da mercanti ebrei. Un’altra fonte, invece, racconta che la cuoca siciliana di una famiglia milanese voleva preparare gli arancini ma non avendo gli ingredienti per il ripieno decise di non modellarli creando così il primo risotto giallo.

Lo chef siciliano Salvo Paolo Mangiapane, ha analizzato la situazione considerando varie fonti. In primis che il riso durante la denominazione araba trovò un vasto impiego nella cucina siciliana, infatti gli Arabi preparavano delle polpette di carne tritata miscelata a riso ed altre erbe aromatiche tra cui lo zafferano, tutti ingredienti utilizzati oggi dai siciliani per cucinare gli “arancini ca ‘a carni” (arancine con la carne). 

Se si vanno ad analizzare i componenti del classico risotto alla milanese, riso, zafferano, brodo e cipolle si può assegnare la paternità della ricetta ai siculi. Il burro, inoltre, era usato dagli Arabi ricavandolo dal latte di pecora, per condire il cous cous.

In Sicilia esiste un piatto, i “badduzzi di risu ‘nto brodo” (palline di riso dentro il brodo), in cui il riso preparato come quello alla milanese viene fatto raffreddare e fatto a palline che poi vengono fritte e servite in brodo con parmigiano. Senza considerare le ricette dolci come quella del riso cotto nel latte, o del “u risu duci cunzatu” (riso dolce condito con zuccata e altri frutti canditi, cannella e cioccolato), o “i sfingi di risu” (frittelle di riso).

Non mancano però fonti, come quella di Alberto Denti di Pirajno che definisce il risotto alla milanese come “la più celebre minestra della Lombardia” che “rimane legata unicamente alla Lombardia e a quelle risaie la cui origine e vanto di Galeazzo Maria Sforza, che, nel quattrocento, iniziava a diffondersi nel novarese e nelle prossimità di Vercelli“.  T. D’Alba, invece, parla di un consumo di riso con zafferano già nel 1549, alla corte di Ferrara con Cristoforo Messisburgo con una composizione di “riso con uova e zafferano non dissimile dal risotto alla milanese la cui prima stesura è di Giuseppe Sorbiatti nel 1860 che altro non ebbe a che fare che aggiungere il parmigiano“.

Anche se il risotto alla milanese è considerato da tutti una ricetta tipicamente lombarda non si può ignorare la sua origine meridionale e così radicata nella storia del nostro sud.

Fonte:

chef Salvo Paolo Mangiapane

 
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Pubblicato da su 04/07/2017 in Uncategorized

 

Sicilia meta dei naturisti

da: ilsicilia.
In  della vista della stagione estiva, la Sicilia si conferma come meta preferita per i nudisti. Oltre al turismo balneare prediletto dalle famiglie e a quello culturale, infatti, c’è un turismo decisamente più di nicchia che ama frequentare alcuni gioielli naturalistici dell’Isola, da tempo scelti come proprie mete fisse dagli amanti del naturismo, da coloro, cioè, che prediligono uno stile di vita dedito alla simbiosi con la natura, al punto da vivere i propri momenti di relax in totale nudità.

Il più delle volte si tratta di uno stile di vita, che non ha niente a che fare con il sesso, ma che esiste da molti anni e non è mai tramontato. E anzi, in Sicilia i turisti e le mete nudiste sono in numero crescente.

Di seguito, alcuni luoghi preferiti dai naturisti per i propri soggiorni estivi.

Agrigento

Per chi sceglie la provincia di Agrigento, ad esempio, una spiaggia molto amata è quella di Eraclea Minoa, nei pressi di Cattolica. Nella stessa provincia agrigentina ci sono anche la spiaggia che si trova alla foce del Fiume Platani e la quotatissima Torre Salsa, a pochi chilometri da Siculiana, all’interno di un’area naturale di rara bellezza, dichiarata riserva e gestita dal WWF. Qui, però, bisogna stare con gli occhi aperti, perché in anni passati decine di persone sono state denunciate dai carabinieri, con l’accusa di atti osceni in luogo pubblico, forse a causa della contemporanea presenza di bagnanti “tradizionali” e famiglie con bambini. A Lampedusa, nei pressi dell’Isola dei Conigli, c’è la scogliera di “Ballata bianca”, ma anche la spiaggia nudista di località Guitgia.

Siracusa

Nel Siracusano la riserva di Vendicari, raggiungibile dalla città aretusea imboccando la Statale 115 in direzione Avola-Noto-Pachino, è un luogo dove non di rado si pratica il naturismo. Qui c’è la spiaggia di Marianelli, vera e propria oasi nudista, ma anche la spiaggia di Calamosche. In quest’ultima, talvolta, sono stati registrati interventi della Forestale, che hanno invitato i bagnanti a “coprirsi”. Possibilità di praticare il naturismo anche nelle spiagge alla foce del fiume Ciane, dopo un chilometro dal frequentatissimo lido di Sayonara. A Cassibile occorre invece cercare un’azienda agrituristica con formula b&b a gestione familiare che ospita anche naturisti.

Palermo

In provincia di Palermo, il nudismo può essere praticato a Lascari, in due differenti località: la prima è nei pressi della spiaggia attrezzata delle Salinelle. Una volta raggiunto il posteggio della spiaggia, chi ama il naturismo lascia l’auto e oltrepassa a piedi i lidi andando verso destra, camminando sulla sabbia per almeno duecento metri, fino a quando non ci sono più sdraio e ombrelloni. L’altra spiaggia, sempre a Lascari, è in contrada Gorgo Lungo.

Sempre in provincia di Palermo c’è poi la storica spiaggia di Balestrate, raggiungibile posteggiando l’auto dopo il cimitero e proseguendo a piedi. Qui spesso i nudisti vi si recano nei periodi di minore affollamento. Più vicina al capoluogo siciliano c’è la riserva naturale di Capo Gallo-Barcarello, raggiungibile a piedi. Per raggiungere i luoghi battuti dal turismo naturista, si posteggia l’auto nei pressi del porto di Barcarello, lato Sferracavallo, e si prosegue a piedi per alcune centinaia di metri. Più in là si va e più è possibile trovare insenature in cui è possibile praticare il nudismo, mentre se si oltrepassano a piedi le piattaforme in cemento della cosiddetta Fossa del Gallo, si raggiungono altri piccoli scorci. Infine, sempre a Sferracavallo, nei pressi del capolinea degli autobus, c’è la spiaggia delle Vergini, un’insenatura isolata prediletta dai naturisti.

Catania

Nel catanese c’è la spiaggia naturista di Acireale, nei pressi del Mulino, ma anche quella più vicina alla città etnea, in località Caito, che è possibile raggiungere dopo avere attraversato l’ultimo binario della stazione.

Caltanissetta

Qui, c’è Gela, dove il sindaco ha annunciato che a partire dal 2016 destina ben sei chilometri di spiaggia ai bagnanti amanti del nudismo.

Messina

Nel Messinese, a poche decine di metri dai laghetti di Tindari si possono trovare zone frequentate da nudisti nella spiaggia di Marinello; poco distante c’è un’altra spiaggia interamente naturista, raggiungibile camminando per tre chilometri da Marinello lungo il sentiero dei laghetti; a Milazzo c’è la spiaggia naturista di località Tono, sul viale Marinaio d’Italia. Più vicine alla città messinese ci sono la spiaggia di San Saba e quella di Giampilieri, raggiungibile dall’Autostrada Messina-Catania, uscendo al bivio Tre Mestieri. Spiaggia naturista con struttura ricettiva anche nell’isola di Vulcano.

Nei pressi di Taormina c’è la spiaggia naturista di Rocce Bianche, nota a livello internazionale. A pochi chilometri di distanza, a Forza d’Agrò, altra spiaggia nudista in contrada Parrino.

Trapani

In provincia di Trapani, i nudisti possono scegliere di recarsi in una spiaggia abbastanza tranquilla di Scopello, non distante dall’antica tonnara. La spiaggia è raggiungibile a piedi, lasciando l’auto alla galleria sulla statale 187. Altra località prediletta dai nudisti si trova nei pressi di Selinunte, dove c’è la spiaggia della foce del fiume Belice, appartata perché circondata da un bosco. A Mazara del Vallo c’è la spiaggia “Capo Feto”, un arenile selvaggio, circondato da macchie di natura mediterranea e con un mare cristallino, una tra le spiagge nudiste più belle dell’isola.

E sempre a Mazara è presente un B&B, immerso nel verde, a due passi dal paese che organizza da anni pacchetti naturisti con guide che consiglieranno le mete più belle con crociere e mini crociere rigorosamente senza veli, compresi di skipper e hostess.

Insomma, un’Isola che per collocazione geografica e per le sue spiagge, spesso incontaminate e lontane da occhi indiscreti, si conferma come un vero e proprio paradiso nudista

 
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Pubblicato da su 26/03/2017 in Uncategorized

 

Olio d’oliva: un condimento per la vita

olioLa cucina popolare siciliana, per secoli crocevia di sapienze millenarie, risulta essere il prodotto di un modello alimentare cosiddetto “del bisogno”, tipico delle popolazioni povere contadine che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, di cui la Sicilia e la sua tavola, senza dubbio, costituiscono il punto focale.

I piatti unici, non eccessivamente calorici né pesanti da digerire, che praticamente uniscono il primo piatto col secondo, trasmettono ugualmente un buon senso di sazietà e sono una delle principali caratteristiche di questa tavola. Piante aromatiche (basilico, timo, maggiorana, origano ed in particolare l’aglio, noto per una buona azione antipertensiva e che contiene sostanze solforate, come l’allicina e il disolfuro di allile, che fluidificano il sangue), rendono più saporite e più digeribili le pietanze e permettono di ridurre il consumo di sale e, soprattutto, di condimenti grassi come il burro o il lardo, notoriamente ricchi di grassi saturi.

L’uso quasi esclusivo dell’olio d’oliva, come grasso da condimento, costituisce la base della salubrità caratteristica e caratterizzante le pietanze tipiche della cucina popolare siciliana, ricoprendo un ruolo decisivo nella prevenzione di alcune patologie, soprattutto malattie cardiovascolari e tumori. Ciò grazie al suo contenuto di Vitamina E, di Vitamina A e di polifenoli, ma anche grazie al fatto di essere il grasso più ricco di acido oleico, acido grasso monoinsaturo (che riduce la percentuale di colesterolo nel sangue), e di contenere basse quantità di acidi grassi saturi, i più correlati all’incremento di neoplasie.

Ma vediamo, in particolare, come orientarci nella scelta dell’olio giusto.

Un buon olio si ottiene raccogliendo le olive a mano, quando ancora non hanno raggiunto la completa maturazione (cioè verdi con qualche macchia violacea), e trasportate in frantoio con delle cassette di plastica per essere molite, preferibilmente, in giornata. Se pensiamo, quindi, di acquistare dell’olio in frantoio, durante la campagna di molitura, è bene scartare le partite di olive trasportate nei sacchi, che possono presentare ammaccature e di conseguenza delle fermentazioni indesiderate.

I frantoi moderni sono dotati di impianti di molitura a ciclo continuo dove le olive, dopo aver subito una defogliazione e un lavaggio, attraverso un frangitore meccanico vengono trasformate in pasta, che, centrifugata, rilascia un composto di olio e acqua di vegetazione. Il successivo passaggio in un separatore, assicura la scomposizione dei due elementi.

Con questo sistema di estrazione meccanica si ottengono esclusivamente oli denominati “vergini” che, a seconda del grado di acidità oleica in essi contenuto vengono classificati in: “olio extravergine di oliva”, se l’acidità oleica è compresa fra 0 e 0,9 gradi; “olio vergine di oliva”, se tra 1 e 3,2 gradi. Se tale acidità supera i 3,3 gradi si ottiene un olio vergine“lampante” (così chiamato per il suo antico utilizzo nelle lampade) che non è commestibile e, per diventarlo, deve subire un processo chimico di raffinazione, dal quale si ottiene un prodotto incolore, inodore e insapore denominato “rettificato A” che, miscelato con delle percentuali di olio extravergine di oliva, viene classificato come “olio di oliva”.

Dalla “sansa vergine” costituita dallo scarto delle parti solide delle olive (nocciolo, ecc.), attraverso l’utilizzo di alcuni solventi e con l’aggiunta di olio di oliva, si ottiene ancora un altro tipo di olio denominato “olio di sansa e oliva”; la “sansa esausta”, ormai priva parte liquida, viene utilizzata come combustibile nelle caldaie.

cucinasiciliana.org

 
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Pubblicato da su 07/10/2015 in cibo

 

Turismo, esperienze e cibo: la valorizzazione del territorio in ottica esperienziale attraverso l’home food.

homefoodIl patrimonio gastronomico come volano dello sviluppo turistico territoriale.

Secondo le previsioni del Piano Blu per il Mediterraneo (M.A.P.), nel 2025 il numero dei turisti crescerà fino a 350 milioni. In tale prospettiva quali possibilità hanno le aree economicamente deboli ma a forte valenza culturale se i minori costi dei mercati stranieri sono già tali da escluderle a priori da qualsiasi capacità attrattiva del turismo di massa?

La valorizzazione del ricco patrimonio gastronomico costituisce il principale punto di forza e di maggiore appeal per i soggetti non locali. Il cibo e la gastronomia, infatti, occupano il quarto posto (dopo il clima, la sistemazione e il paesaggio) nella graduatoria dei fattori che rendono attrattiva una meta, e sono l’ultima cosa di cui il turista decide di spendere meno. In questo modo la cucina tipica, oltre ad essere una piacevole attività sensoriale, si trasforma in uno strumento di marketing turistico per le destinazioni. Le specialità tipiche e l’arte della loro preparazione, in altri termini, diventano punto di unione tra l’autenticità di un territorio ed il turista, sempre più desideroso di proposte genuine, partecipative e strettamente collegate alle specificità del territorio che visita.

L’home food per la creazione di esperienze turistiche.

Nella prospettiva del turista moderno alla ricerca di continue e nuove emozioni e di nuovi modi di essere, la domanda di tipicità locali si trasforma in domanda di esperienze ed eventi culturali. Ed è in queste profonde trasformazioni che l’offerta deve misurarsi nelle politiche di prodotto innovative di livello superiore a quelle tradizionali. La sfida in questo caso consiste nel trasformare la tavola dei luoghi in proposte che esaltino la componente sensoriale gastronomica, attraverso iniziative di valorizzazione delle pietanze tipiche ispirate alla logica tesa ad enfatizzare la dimensione esperienziale della loro preparazione e della loro degustazione.

In quest’ottica l’home food di “Cucina Siciliana” nasce come iniziativa pilota, pensata in ambito territoriale, che strutturi una metodologia per la creazione di “itinerari del gusto” come strumento di fruizione dinamica del territorio, per la promozione di aree, saperi e tradizioni. Da questo punto di vista, un sistema di itinerari studiato sulla base di “percorsi cucinari”, fruibili grazie all’opera meritoria di una rosa di “Cummari” (abili massaie esperte di cucina tradizionale locale), che apertamente ospitano a casa propria quanti ancora amano cingere un grembiule e condividere con loro l’elaborazione delle pietanze tipiche, favorisce l’interazione con i residenti e l’approccio ad uno stile alimentare proprio di chi non nega il piacere, ma lo coltiva, di chi instaura intensi rapporti con la radice delle cose, di chi riconosce l’importanza della cultura degli elementi, della materia e della convivialità, disponendo di aspetti di unicità e di differenziazione intrinseca di gran lunga più rilevanti di quelli offerti da qualsiasi altra esperienza gastronomica.

Questi percorsi data l’alta componente immateriale di cui sono costituiti, per la preponderante parte attribuita alla dimensione esperienziale della preparazione dei piatti tipici (dagli attrezzi ai procedimenti di lavorazione, dalle antiche ricette familiari alla realizzazione delle pietanze), possono considerarsi come un’offerta turistica innovativa che punta sugli aspetti sensoriali e, attraverso essi, sull’immersione nel contesto di un’esperienza gastronomica olistica, unica ed autentica. Assumendo la prospettiva esperienziale è evidente come lo strumento dell’home food possa considerarsi modello di riferimento per lo sviluppo turistico di quel territorio, e soprattutto delle sue zone interne, che un tempo fu la terra degli Elimi, ove la gastronomia locale rappresenta una delle declinazioni del modello alimentare mediterraneo, differenziando le destinazioni rispetto alle altre località concorrenti e consentendo ai turisti di visitare non solo luoghi nascosti e fuori dai circuiti tradizionali, ma anche di uscire dai modelli alimentari omologanti della società contemporanea, dando loro l’opportunità di affermasi, di distinguersi ed, in certo modo, di emanciparsi da comportamenti massificati ed anonimi.

Il tematismo e la creazione di valore.

Senza approfondire la struttura di marketing e comunicazione associata alla preparazione del cibo ed alla sua degustazione in ambiente domestico che, per natura, è un prodotto specifico tale da catturare la curiosità e l’intelletto del visitatore, è facile notare come l’home food si basi sostanzialmente sul concetto di “tema”. Questo elemento, nelle aspettative dei turisti consumatori, assume una estrema rilevanza. Mentre, infatti, nel caso della promozione di offerte gastronomiche da parte dell’industria della ristorazione di massa notiamo normalmente la concorrenza di una pluralità di fattori verso la costruzione di un prodotto “economico” e vendibile, nei “percorsi cucinari” proposti dalle Cummari di Cucina Siciliana ci si trova, normalmente, in presenza del preponderante fattore “tematismo” il quale, fatte salve poche e riconosciute eccezioni dovute a scarsa consapevolezza delle popolazioni locali, fa già parte dell’identità di una data area geografica ed è, quindi, suscettibile di riconoscimento, valorizzazione, fruizione sociale e turistica. L’identità del prodotto turistico è il primo valore, da ricercare prima della commercializzazione e oltre la sua semplice vendita.

L’individuazione e la valorizzazione del “tema territoriale” nella Dieta Mediterranea e nel mondo della gente che la genera e che scrupolosamente ne custodisce la matrice, non coincidente con lo “sfruttamento in senso stretto” dei beni del patrimonio agroalimentare locale, concetto troppo riduttivo e in taluni casi inapplicabile o inaccettabile, diviene allora elemento qualificante i “percorsi cucinari”. Soltanto in questi termini si possono ravvisare gli estremi e le condizioni per definire l’home food di “Cucina Siciliana” un prodotto turistico equilibrato, globale, sostenibile e accettabile socialmente oltreché economicamente.

Antonello Filippazzo

 
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Pubblicato da su 01/10/2015 in cibo, Eventi, Turismo